l’Area archeologica di Trea

Trea sorge al centro di una zona collinare situata lungo la via di collegamento tra la media valle del Potenza e Ancona. L’area, frequentata sin dall’età preistorica e protostorica, è collegata ai principali insediamenti romani della regione attraverso uno dei percorsi viari più efficienti della rete stradale romana, il diverticulum della Flaminia Prolaquense. La città, già probabile sede di uno dei distretti prefettizi sorti nell’agro piceno dopo la conquista romana del 268 a.C.

Fu fondata come municipio a costituzione duovirale, ascritto alla tribù Velina, intorno alla metà del I secolo a.C., nel quadro delle vicende che fecero seguito alla guerra sociale e che portarono ad una profonda trasformazione dell’assetto del territorio, determinando una svolta incisiva nella vita politica, economica e sociale della zona.

La sicura localizzazione del municipio sul pianoro dove sorgono la Chiesa e il Convento del SS. Crocifisso, circa un Km ad Ovest della città attuale, ai lati della strada che conduce alla frazione di San Lorenzo, è stata resa possibile dalle informazioni fornite dalle fonti itinerarie e soprattutto grazie al precoce interesse per le antichità maturato presso gli eruditi locali che, già a partire dalla seconda metà del XVI secolo, e poi ancora nel corso del Seicento e Settecento, descrivono strutture e materiali di natura archeologica provenienti proprio da quell’area. Tra questi lo storiografo treiese Fortunato Benigni (1756-1831), che nel 1791 effettua una prima indagine di scavo all’interno dell’area urbana grazie alla quale vennero identificati tratti della cinta muraria, di mosaici ritenuti pertinenti ad un presunto tempio e della basilica: quest’ultima, di cui rimane anche una pianta, individuato sul terrazzo superiore, nel settore Nord-Ovest della città ove pertanto doveva trovare ubicazione anche il foro, è posto in stretta connessione con un asse stradale con orientamento Sud-Ovest/Nord-Est da identificarsi come decumanus maximus, rappresentato dal tratto urbano del diverticolo della Via Flaminia che in uscita dalla città ad Est si dirigeva verso Auximum.

 


Il circuito murario, ancora visibile per brevi tratti ai margini settentrionali del pianoro e inglobati in una casa colonica nei pressi della località «Mura Saracene» in corrispondenza della porta Ovest, doveva racchiudere un’area di limitata estensione (12 ettari circa) di forma ovale irregolare. Le mura, con  paramento in opus quasi reticolatum realizzato con blocchetti quadrangolari di calcare locale, erano scandite con regolarità da torri rettangolari e risultano databili tra tra l’età triumvirale e gli ultimi decenni del I secolo a.C., quando il Liber Coloniarum ci informa che il territorio di Trea fu sottoposto ad assegnazioni viritane, in una fase pertanto di pianificazione complessiva che comprende insieme area urbana e territorio.


Poco si conosce ancora della topografia  e dell’assetto urbano e monumentale della città romana: noto agli studiosi ma purtroppo non più visibile il complesso identificato, negli anni 1985-1988, dall’Università di Macerata nei pressi del Santuario del SS. Crocifisso, nella zona a Sud-Est della città e interpretato come Serapeum, un santuario cioè dedicato a divinità egizio-orientali. Le indagini archeologiche hanno messo in evidenza un complesso databile intorno alla metà del II secolo d.C. e caratterizzato dalla presenza di ambienti riccamente mosaicati e collegati ad una complessa rete idrica intervallata da bacini e cisterne. Per la rilevanza del soggetto rappresentato - e direttamente collegato al culto di Serapide ed Iside - spicca un piccolo frammento di mosaico policromo con un ibis, uccello tipico dell’iconografia nilotica. Tali ambienti si disponevano, probabilmente, attorno a quella che era una vasta corte il cui fulcro doveva essere costituito da un piccolo edificio a pianta quadrata, forse un tempietto, poi inglobato nel basamento della torre campanaria dell’antica pieve ancora visibile all’interno del chiostro del convento. Apparteneva probabilmente al grande simulacro di culto del Serapeum, la testa del dio Serapide conservata presso il Museo Civico Archeologico. La testa, di dimensioni superiori al vero, appare sormontata da modius, attributo tipico di alcune divinità ctonie come anche Artemide ed Ecate e simboleggiante fertilità e abbondanza e sembra inquadrabile, sulla base delle cifre stilistiche, tra la fine dell’età adrianea (Adriano, 117-138 d.C.) e l’inizio dell’età antonina (Antonino Pio, 138-161 d.C.).


Lo stretto legame della città con l’Oriente è documentato anche da cinque frammenti di statue egizie in diorite oggi presso il Museo. Queste dovevano appartenere a cinque figure diverse che si connotano per l’abbigliamento e gli attributi come figure regali e la cui produzione si fa risalire ad età tardo-tolemaica (III secolo a.C.).
La documentazione archeologica permette di attestare una continuità di vita e frequentazione del municipium, anche oltre il VII secolo d.C. L’area di culto infatti, trasformatasi da santuario pagano nella pieve cristiana di S. Giovanni Battista (Ecclesia Sancti Joannis Plebis de Trea) continua a costituire il principale luogo di aggregazione demica in questo periodo e almeno fino al Mille con la costituzione del nuovo centro fortificato di Montecchio.

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